LA COMMISSIONE PROVINCIALE Sciogliendo la riserva espressa alla udienza del 14 marzo 1997 nel procedimento n. 595/1995 R.G., Rilevato in fatto Il 23 febbraio 1995 l'ufficio Iva di Macerata ha notificato alla ditta The Commissionagent s.n.c. di Leonfanti e Quintaba' di Civitanova Marche l'avviso di rettifica 601482/95 per l'anno d'imposta 1989, con il quale sono stati accertati, facendo proprio un accertamento dell'ufficio II.DD. di Macerata, corrispettivi non fatturati per L. 51.771.000 con Iva relativa in L. 9.836.000. Con atto depositato il 13 aprile 1995, ha proposto ricorso, la s.n.c. Commissionagent, chiedendo l'annullamento dell'avviso impugnato e che la Commissione ritenesse congrui i ricavi dichiarati. E cio' assumendo che: - l'ufficio Iva aveva determinato maggiori ricavi facendo proprio analogo accertamento dell'ufficio distrettuale II.DD. di Macerata, che aveva determinato i ricavi presunti in maniera induttiva in base ai coefficienti presuntivi di ricavi stabiliti dal D.P.C.M. del 22 dicembre 1989; - l'ufficio aveva erroneamente utilizzato i coefficienti, applicando quelli per attivita' svolta con dipendenti, mentre nel caso di specie non vi erano collaboratori. Con deduzioni, depositate il 21 febbraio 1997, l'ufficio ha chiesto la declaratoria della cessazione della materia del contendere, in quanto esso ufficio, avvalendosi dell'art. 68 del d.P.R. n. 287/1992, aveva provveduto all'annullamento dell'avviso impugnato, dichiarando di averlo notificato alla parte ricorrente. La Commissione, all'udienza del 14 marzo 1997, si e' riservata di decidere nel termine di trenta giorni, avvalendosi del disposto dell'art. 35 del d.lgs. n. 546/1992. Considerato in diritto Nel caso in esame la Commissione deve prendere atto dell'avvenuto annullamento dell'atto impugnato, per cui deve dichiarare l'estinzione del giudizio per avvenuta cessazione materia del contendere, ma non puo' condannare alcuna delle parti alla refusione delle spese di causa, in quanto vi osta il comma 3 dell'art. 46 del d.lgs. n. 546/1992, il quale recita: "Le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge". La Commissione pero' intende far rilevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale di tale norma sotto alcuni profili. Preliminarmente va fatto osservare che la soluzione della questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel presente giudizio, in quanto il Collegio giudicante solo a seguito della eliminazione della norma ostativa potra' riprendere il suo potere dovere, proprio di ogni organo giurisdizionale ed esercitabile anche d'ufficio e senza espressa richiesta delle parti, di decidere sulle spese di causa. Va anche osservato che nel nuovo processo tributario e' prevista una differenzazione tra le posizioni delle parti che non trova giustificazione logica e/o razionale. Infatti, mentre l'ufficio ha la facolta' di avvalersi dei principi dell'autotutela, con la conseguenza di poter impedire la prosecuzione del giudizio, senza incorrere nella eventuale condanna alle spese, analoga facolta' non e' riconosciuta al contribuente. Infatti questi, avvedendosi di un errore o di un mutamento di giurisprudenza non puo' esercitare un potere analogo alla autotutela, ma puo' solo ricorrere alla rinuncia agli atti del giudizio. Ma in questo caso esso contribuente e' tenuto a rimborsare le spese di causa all'altra parte. Gia' sotto questo profilo la Commissione rileva una disparita' di trattamento che annulla di fatto la parita' processuale tra le parti, che costituisce uno dei cardini fondamentali del nostro ordinamento giuridico e processuale, e che viola l'art. 3 della Costituzione senza una giustificazione logica e razionale. Ma la violazione dell'art. 3 della Costituzione si puo' ricavare anche considerando che, mentre dinanzi a tutte le altre giurisdizioni (giustizia civile, giustizia amministrativa, giustizia contabile), nel caso in cui la pubblica amministrazione eserciti la c.d. autotutela l'organo giudicante deve dichiarare cessata la materia del contendere e condannare eventualmente la p.a. per la c.d. soccombenza virtuale, nel nuovo processo tributario la p.a. puo' esercitare la c.d. autotutela e conseguire la declaratoria di cessazione della materia del contendere senza poter essere condannata eventualmente alle spese per la soccombenza virtuale. Si verifica cosi' una disparita' di trattamento, che trova origine e fondamento nell'art. 46 del d.lgs. n. 546/1992 citato. Ma tale articolo, nel senso sopra riportato, appare anche in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto con esso viene ad essere menomato, limitato e scoraggiato l'esercizio del diritto di difesa dei ricorrenti, diversi dalla p.a., i quali, pur avendo sostanzialmente ragione, possono indursi a non ricorrere, sapendo che poi la p.a., riconoscendo i propri errori, fa cessare il contenzioso, lasciando a carico dei ricorrenti l'onere delle spese per il professionista incaricato gia' sostenute. Appare evidente la irrazionalita', oltre che l'ingiustizia, della scelta normativa, contenuta nell'art. 46 citato, per la quale la parte contribuente, che ha sostanzialmente ragione ed ha esercitato legittimamente il suo diritto di difesa, deve sopportare le spese per la sua assistenza tecnica (peraltro obbligatoria sopra i 5.000.000) con liberazione dell'altra parte, p.a., che con il suo errore l'ha costretta a proporre ricorso e ad avvalersi della assistenza tecnica. Tutto quanto sopra vale, ovviamente, per i giudizi il cui oggetto superi la soglia minima di L. 5.000.000 (art. 12, n. 5 d.lgs. n. 546/1992). Concludendo, la Commissione ritiene che il terzo comma dell'art. 46 del d.lgs. n. 546/1992 viene a colludere, per i motivi sopra esposti, con il principio di eguaglianza, nonche' di quello conseguenziale della ragionevolezza, e sia in contrasto sia con il primo che il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, sia con l'art. 24 della Costituzione medesima.